Leggendo il lungo elenco dei nomi dei facchini che lavoravano nel porto negli anni 1821-3, a fianco del nome, cognome, paternità, luogo di nascita e di residenza genericamente normali, appare ufficializzato per ciascuno ed a tutti, anche un soprannome: un lungo elenco che è tutta una novità da evidenziare: buffamente curiosa, per la fantasia, se è un soprannome capibile; ma molto – troppo spesso – a tutta prima incomprensibile nel significato. Non è riportabile per intero il lungo elenco, di per sé stanchevole; ma ne commentiamo alcuni, riportandoli con la grafia delle fonti. Quelli che ci appaiono più ‘normali’ o quantomeno capibili, sono Togno (Antonio), Paesano (per uno di Orero), Guercio (goerso), Tela a molin (tela a mulin è, nel gioco della dama, aver predisposto di fare filetto, quindi avere la facoltà di fare a modo proprio), Nasino, Miseria (miseja), Negro (neigro), Mostacci (mostasci), Massujaro, Stochefix (sic, stocchefisce), Frega tette (forse perché da piccolo a balia era più intraprendente), Sparisci (forse perché scappava spesso dai suoi o …dal lavoro), Strazio. Da questi primi esempi, si rilevano tre aspetti: per primo, non tutti sono scritti in genovese come invece era probabile fosse nella chiamata usuale: forse lo scrivano voleva apparire persona colta o non sapeva scrivere il dialetto. Secondo, probabilmente erano affibbiati a ciascuno in giovane età considerato che allora la vita non concedeva ai ragazzi scuole o diritti particolari se non già lavorare, e pesante, anche nel facchinaggio. Terzo, che quasi mai compare un soprannome per i nobili, i ricchi e benestanti, essendo limitati alla povera e comune gente. Appaiono curiosi alcuni altri: Gambe inverse, Sciamaddino (breve fiammata), Ceigamorti, Insensou , Sciarpella (sciarpetta; o se da ‘sciarbèlla’, ciabatta), Cacha in nio (cagâ in to niu significa neonato), Sçu mi nu sun (forse non sono scuro, stolto; oppure scöo per bagnato fradicio), Metti e leva, Ghiggermo, Ti cianzi, Bé, Caga coi, Pianta forche (cianta forche), Buscaggino (scala a corda), Frin frino, Maffisci, Vegni che l’ho, Peian (annebbiato o vuoto: noxe peja è la noce vuota), Cancaegnano (un gioco infantile basato su una filastrocca molto elementare da far ripetere ai bimbi; cancaignan significa giocherellone), Poco aiuto (poco aggiûtto), Soula (da çiôula, cipolla), Caga fuoco (caga fèugo), Giascialoffe, Scompiscione, Mangia e dormi, Bella ti ghe mancavi (forse per qualcuno di sesso incerto), Bossa la vita (la bossa è un breve tratto di corda che in marineria serve per fissare le manovre: bossa a vitta acquista il senso di assicurare la vita), Merda amara (merda amaa), Belesecche (secco, allampanato), Morte ubriaca (morte imbraega), Peccato mortale (peccòu mortale), Ghiggermo (Guglielmo). L’elenco continua, con nomignoli spesso non traducibili e quindi incomprensibili, tipo, Rovelotto, Bozzotta., Mociniero, Papaloca. Quello che importa rilevare, e che si può dedurre, è che -se non si inseriva anche il soprannome- poteva succedere di non riuscire a sapere chi fosse il facchino.
Di San Pier d’Arena erano :
a) nati nel borgo: Gesuita (non certo da gloriarsene allora), Sparisci, Diavolo, Minimo, Barbetta, Munegarino (come una monaca, timido), Avvocato, Ravaneto, Gaetano, Franco, Foino (foin è il furetto), Lurcio ( ‘lûrcio’ è lo strabico ovvero con carattere strambo), Beiviegua, Mori, Leitaro (o leitâ è il lattaio), Massacano( con riferimento ad una attività di muratore), Lecca trofie, Rosso, Tré, Meschin, Barrabino, Zenogino (i ‘zenoggin’ erano protezioni in cuoio per le ginocchia dei cavalli), Disdegno. Si nota che nessun nomignolo appare legato a qualche caratteristica di quello che c’era nel borgo e che possa quindi derivare da questo.
b) residenti nel borgo: Panettiere, Sampierdarena, Cilluen (vezzeggiativo di piccino), Capellone, Pasquale, Bertoné (Bartolomeo), Munezaro, Bacciarino, Cino, Rascia cipolle, Fidelaro, Debole, Salacca, Suonare sa suonare.
In altra fonte, Valentino Armirotti ricorda in un suo articolo ‘che la nascita della prima Società Operaia avvenne in San Pier d’Arena nel 1851 nella baracca di Baciccia de Mûin (Giovanni dei mattoni) per volontà degli operai Testa Angelo detto o Zuetto, Ferrando Giuseppe detto o Ratella e Pittaluga GB detto o Carubbê, oltre ad altri citati senza soprannome.
Praticamente tutti ne avevano uno, e probabilmente assai spesso erano conosciuti più per questo soprannome che per quello anagrafico; con la più ampia fantasia, spesso mordace ed impietosa ma che, sottolineato da Schiaffino – il quale a sua volta ne riporta un lungo curioso elenco – ‘mai inteso in senso dispregiativo e anche se il paragone non era favorevole veniva sempre inteso nel modo migliore e senza cattiveria’. Così apprendiamo che per secoli il soprannome fu una regola, per tutti, acquisito nel corso del tempo per un avvenimento a caso ma che ‘timbrava a fuoco’ il personaggio caratterizzandolo per tutta la vita, ed a volte caratterizzanti una intera famiglia e con essa la loro località. Non è dato sapere se toccava altrettanto alle donne, anche se a qualcuna – se non proprio un soprannome – ma un vezzeggiativo non poteva certo mancare. Chissà quando e perché se ne è persa l’usanza: forse ‘colpevoli’ furono sia la scuola che l’italianizzazione obbligata; ma con esse la riduzione dell’analfabetismo: una migliore cultura generale e la presa di coscienza della propria individualità, misurata con altri pesi. Sicuramente è stata opera anche del Comune e degli enti quando, perfezionando la loro anagrafe, ne eliminarono l’uso.
Bibliografia
Costa E. – Valentino Armirotti – SO Universale .2001- pag.197
Delfino G – Il soprannome(appendice di ‘Parolle succide zeneixi’) – Mondani
Gazzettino Sampierdarenese n° 8/95 pag.7
Genova rivista comunale n° 1/64 pag.2
Petrucci V.E. – Grammatica sgrammaticata – Sagep.1984- pag.47
Piccinno L.- Economia marittima e… – SocLigStPatria-vol.CXIV-f.I-p.555
Schiaffino P. – Parlar camallo – Sagep.1983.-pag.58